lunedì 10 giugno 2013

L'oro nell'hi-tech

Se la corsa all'oro del XIX secolo ha fatto si che molte persone si allontanassero da quello che era il frutto della Rivoluzione Industriale per intraprendere avventurose ricerche nelle lontane miniere degli Stati Uniti, nel XXI secolo è proprio alla fabbrica che bisogna tornare.
Abbandonate l'idea di pepita, oggi loro si trova nell'hi-tech.
Che il valore di questi prodotti sia aumentato negli ultimi anni è evidente; difficile immaginarsi una quotidianità senza computer, cellulari o altri oggetti tecnologici. La frenetica corsa all'ultima scoperta però, porta spesso a far calare molto rapidamente il nostro interesse verso il prodotto appena acquistato e nell'arco di alcuni anni o addirittura mesi lo ritroviamo in un cassetto o nel cestino. Eppure il cellulare "superato", conserva un valore fino ad oggi ben poco considerato.
Dall'e-waste ("rifiuto elettronico") sono infatti ricavabili materiali preziosi tramite un processo chiamato "Urban Mining" .
Da una tonnellata di oggetti obsoleti è possibile ricavare circa 400 grammi doro.
Non è difficile dunque pensare che nelle discariche in giro per il globo si nascondano oro e argento per milioni di dollari, producendo ogni anno in tutto il mondo fino a 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici e considerando il recente aumento del valore dell'oro.
Secondo il GeSI (Global e-Sustainability Initiative) i metalli preziosi recuperati dai rifiuti elettronici possono essere fino a 50 volte più ricchi di quelli estratti dalle miniere.
Dati importanti che stanno spingendo sempre più aziende ad aprire questo ciclo di recupero.

Quale maggior centro di trattamento dei rifiuti elettronici è stato identificato Guiyou, città della Cina, con 1,5 milioni di tonnellate trattate ogni anno, generando ricavi per 75 milioni di dollari.
Uno tra i primi in Italia a portare questo esempio è Andrea Squarcialupi, 48 anni, consigliere delegato ed azionista di controllo della Chimet, il quale importa rifiuti elettronici da Stati Uniti, Germania o Malesia per fonderli ed estrarne argento, platino, palladio, rodio e ovviamente oro, esportato poi sotto forma di lingotto principalmente in Svizzera o Gran Bretagna.
Il grande scoglio da superare è però quello dell'inquinamento atmosferico causato dai sali di cianuro altamente tossici utilizzati per la separazione delloro dagli altri metalli e ai quali non si era finora trovata soluzione alternativa.
La svolta potrebbe arrivare tramite l'utilizzo di una tecnica naturale basata sull'amido di mais, capace di salvaguardare il fattore ambientale e di abbassare i costi di lavorazione.
Scoperta fatta, come spesso accade in maniera del tutto casuale, dal gruppo di ricerca coordinato dall'americano Fraser Stoddart, della Northwestern University (cui è inserito anche il chimico italiano Marco Frasconi). Durante uno studio è stato notato come questo reagente, completamente naturale e derivato dall'amido, sostituisse perfettamente le funzioni svolte dal cianuro, separando loro anche da altri metalli "simili" come platino e palladio.
L'esperimento sta attraversando ancora una fase embrionale e ha bisogno di numerose conferme, ma è già una speranza per chi si augura di trovare il modo più sostenibile possibile di riutilizzare i nostri vecchi prodotti elettronici.

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